La Divina Commedia è una rappresentazione immaginaria e allegorica del mondo ultraterreno, in ottica cristiana, ed è il culmine della visione religiosa medievale.

Tra una fede inesorabile e uno sprezzante ateismo

di Lara Seraj

È importante non dimenticare che Dante compie questo pellegrinaggio perché incaricato da Dio, per mostrare all’uomo la via per superare la perdizione e la condizione di miseria spirituale al fine di raggiungere il Sommo Bene che dona felicità e salvezza eterne, ossia Dio.

Dante, già nel trattato quarto del Convivio, indica l’esistenza di un percorso che l’uomo deve compiere per giungere al compimento del proprio desiderio: l’autore parla di un cammino veracissimo, seguendo il quale l’uomo ha la possibilità di raggiungere la città del Cielo, e di un cammino fallacissimo, percorrendo il quale l’uomo si smarrirà senza trovare riposo e appagamento.

Ma come è possibile per l’uomo smarrire la retta via?

Ma come è possibile per l’uomo smarrire la retta via e allontanarsi dalla sua più grande fonte di felicità? Seguendo la concezione dantesca di creazione, presentata nel Canto XVI del Purgatorio, l’anima semplicetta, creata come tabula rasa, viene plasmata dal suo Creatore con due caratteristiche: il desiderio di tornare alla propria origine, Dio, e il grande dono del libero arbitrio. Durante la sua vita terrena, l’anima umana tende a perseguire il bene, ma, proprio perché semplicetta, si inganna, rivolgendo il proprio volere a un bene minore, che come tale la allontana dal suo vero desiderio. Ma, per Dante, Dio rimane il punto di partenza e di arrivo: lo scopo finale dell’anima umana è tendere a Dio.

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Dante e Nietzsche a distanza di secoli

Abbandonando la cultura medievale però, a distanza di molti secoli, lo scenario appare del tutto mutato: un pensatore singolare come Nietzsche, ne La gaia scienza, arriva paradossalmente a svincolare l’anima umana da Dio, definito come menzogna consolatrice. Quella di Nietzsche è una filosofia che scardina completamente ogni punto di riferimento ritenuto valido fino a quel momento, arrivando a denunciare addirittura la morte di Dio come conseguenza dell’azione umana: Nietzsche afferma “Dio è morto e lo abbiamo ucciso noi” (La gaia scienza, par. 125).

Se Dio nel Medioevo era visto come origine e fine ultimo, con Nietzsche l’uomo si svincola completamente dal divino, e la realtà, che l’uomo faceva coincidere con il creato divino, si smaschera, mostrandosi per quella che è. Dalla morte di Dio comincia una nuova era, lasciando il mondo in uno stato di totale caos e smarrimento, in cui l’uomo coincide con la figura di Joker: il suo scopo è quello di affermare solo e solamente sé stesso a qualsiasi costo.

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Dare un significato alla propria esistenza, ricercandolo nel senso religioso

Se volessimo mettere a confronto le due visioni dell’esistenza umana, Dante concepisce l’anima secondo il più grande paradosso cristiano, ossia il fatto che questa sia indipendente in una dipendenza più grande, quella da Dio, mentre Nietzsche sostiene che l’uomo sia diventato completamente indipendente da Dio, ma imprescindibilmente e inesorabilmente sottomesso al caos. In conclusione, mentre Dante offre all’uomo una reale possibilità di scelta tra bene e male, Nietzsche offre all’uomo solo una libertà che si rivela in ultima analisi fittizia, poiché manca la possibilità di scegliere avendo come unica alternativa l’essere servo della confusione e del disordine.

Apparentemente in antitesi, entrambi gli autori rivelano però quel bisogno dell’uomo di dare un significato alla propria esistenza, ricercandolo nel senso religioso.

LARA SERAJ
Studentessa Quinto anno
Liceo Scientifico Scienze Applicate
Istituto Salesiano S. Ambrogio Milano
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